Anestesia

 Entro e li trovo entrambi seduti: si capisce che a comandare è lui perché sta seduto al centro e conduce la conversazione. Stanno facendo un esame in videochiamata alla specializzanda, che è anche belloccia e ha un accento milanese abbastanza gradevole. "Allora, vediamo, quali sono i farmaci da evitare in una paziente di 54 anni in shock cardiogeno con nefrectomia sinistra e stenosi aortica di tipo 1?". Lei risponde senza esitare un secondo: è bravissima. Finito l'esame, il professore - l'unico che aveva il camice - mi porta nella stanza attigua e mi spiega. "Vede, io ho accettato di riceverla perché sono curioso: come mai, già al I anno, lei è sicuro di voler fare anestesia?". Perché non c'è cosa più bella e delicata, il fascino di saper prendere decisioni complicate in pochi secondi. E poi l'ho visto fare, mi piace. Rimane più o meno impassibile e così gli racconto un po' dei fatti miei. Il telefono gli squilla ogni dieci secondi, o anche meno. Alla fine ci salutiamo, mi dà una stretta di mano bella energica e mi consiglia sul da farsi per riuscire a frequentare il reparto senza dargli noie legali. Venendomene via, mi chiedo se abbia vinto o perso. Ma mi fanno male sia il ginocchio che l'anca: non trovo la risposta, è troppo doloroso. Il coraggio della verità è il coraggio più grande. In ogni caso, devo essere pazzo. Se tutto va bene per arrivarci mi ci vogliono altri dieci anni. E per allora chissà come saranno ridotte le mie gambe, il mio corpo, la mia mente... Ma morirò prima, probabilmente. Un incidente d'auto o un tumore molto motivato, come un giocatore di basket che non arriva al metro e novanta e nessuno gli passa mai la palla. E se la passassero a me? Sarei capace? Chissà... 

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