Qualcosa di dolce

 Questa tizia è polacca, non più alta di un metro e sessanta. Pur non essendo, io, particolarmente alto, con le zeppe da dieci centimetri mi arriva al petto ed è una cosa che dico con uno studio di proiezione non avendola avvicinata a sufficienza... Mora, occhi scuri, capelli fino alle spalle. Non ha niente di esteuropeo. Lavora in una gioielleria e ha come collega una delle migliori persone che conosca, o che come tale mi si presenta. Quando arrivo ho un giubbotto di pelle, la barba incolta e dei jeans abbastanza puliti. Nell'insieme, non faccio più di tanto schifo. Ma Patrizia non mi piace. Sembra solo una bambola, non intravvedo nessuna intensità in lei. Sento che scoparla sarebbe più meccanico di un giunto cardanico. Siccome ho una mente condannata all'immaginazione, mi accorgo solo che nella mia fantasia fra cinque anni me la ritroverei fra le palle con qualche ruga in più ad urlarmi contro perché non ho portato fuori la spazzatura. E infatti, per quanto blandamente incoraggiato da C., la sua collega alla soglia dei cinquanta, non ci sono tornato per lei ma proprio per C., che per me è una sorta di sorella attraente, a differenza di quella vera che avevo morta ormai tredici anni fa. L'ho trovata che stava chiudendo il negozio, con qualche libro contabile sul bancone e la cassaforte aperta. Aveva delle scarpe bianche, da ginnastica. Un cardigan chiaro sulle spalle e i capelli ricci raccolti in qualche modo con un elastico stretto sopra la testa. Siamo usciti da quel piccolo cubicolo pieno di collane ed orecchini e l'ho accompagnata per un centinaio di metri perché, parole sue, doveva andare a una festa. Ma poco dopo è voluta tornare indietro perché temeva di non aver inserito l'allarme (che invece aveva messo). Sul telefono ha un'applicazione che le consente di sapere sempre e comunque dove sta il figlio quindicenne, che di recente viaggia con un cinquantino truccato come è sano e giusto che sia. Suo marito è un dentista. E lei soffre di vitiligine, un'afflizione che si eredita per via genetica e non è altro che un'ipopigmentazione della cute, perlopiù nelle zone periferiche del corpo, quali per esempio dita della mani o gomiti. Be', alla fine me ne sono andato e nonostante piovesse ero contento. Aver passeggiato con una donna di quel livello spirituale era stato davvero un brivido. Ma siccome la vita è fatta notoriamente di alti e di bassi un secondo più tardi sono entrato nell'unico bar rimasto aperto a bere un caffè d'orzo di cui non avevo alcuna voglia solo perché dovevo pisciare. Quindi la sintesi è questa: ho provato un brivido interiore e poi ho pisciato. L'esistenza scorre così, veloce e a volte grave, di giorno in giorno, e alla fine si muore. Eppure Dio... 

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