La gabbia rotta
Fu sempre nel gran favore degli scrittori e mai delle levatrici di bimbi mortali quel gran privilegio di poter decantare da strane posizioni la decadenza dell'epoca: è in effetti una posa aristocratica per penne mediocri. Nulla di più facile che saltare come scemi sul brutto e scagliarlo sulla faccia degli ignavi, scemi che mangiano e bevono e respirano e se camminano seguono le frecce. Vero coraggio e vera forza è estrarre schegge di bellezza e gettarle dal palco. Ecco, è il punto. Essere meglio di ciò che si ha davanti. Combattere per una morte che arriverà comunque, il grande vantaggio. Sentire il sangue, i colpi, la fatica, il sudore, la paura. Soprattutto la paura. E poi la fine. Quante persone sono state ammazzate oggi? Quanti sono crepati fra piscio e merda in un letto d'ospedale fra medici di turno e infermieri in notturno? Quanti colti sull'attimo di una gioia traditi dal cuore che li ha spezzati? Qualche centinaia di migliaia. Eppure Dio... avere la poesia dentro, metterla fuori. Venire trafitti. Continuare a farsi guardare. Exemplum Christi. Per non parlare di mio zio, un uomo che si crede capace di rabbia giovenale ed è solo un piccolo cane zoppo, uno che ha attraversato la vita come un'assemblea di condominio in cui lui ha sempre ragione. E se non morissimo? L'amore di Dio, la guerra alle porte, la musica più dolce d'un bacio materno. Vi saluto: la mia anima è grande, il mio corpo la contiene ma non la doma. Sono, io l'ammetto, una gabbia rotta.
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