Il più grande scrittore di tutti i tempi

 

         In Romagna ma anche e forse soprattutto in Emilia ci sono due cose notoriamente caratteristiche: l'asfalto perfetto della zona industriale e l'illuminazione notturna, elettrica, dei capannoni industriali. Sono seduto comodo comodo mentre li guardo patetico e un po' infreddolito come fossero la mia salvezza; lei sta guidando, sorprendentemente con la marcia giusta: la quarta voglio dire, perché c'è un po' di falso piano e fra poco bisogna entrare in curva. Scalerà o no per trovare la VERA marcia giusta, che è la terza? Non ci faccio caso. Nessuno dei due adesso sta tremando e quindi, così, giusto per, mi chiedo in quell'istante quale sia la vita di uno degli operai di quella fabbrica di ceramica con il piazzale coperto di pozze che sembrano pisciate da Zeus. Mi chiedo, poi, come sia fatta l'esistenza del suo padrone (ce l'ha l'elicottero? lo fa l'elicottero davanti a sua moglie o davanti all'amante?), se qualche volta si trovino con gli occhi a litigare per il riscaldamento troppo basso o un'aria condizionata lasciata spenta nonostante il caldo da bestie. Il lavoratore si chiama Oreste e io Marco. Io direi che sono vero, che sono qui a raccontare la faccenda. Cioè se incontrassi Oreste al bar nasconderei le mie mani morbide da intellettuale fallimentare e non oserei rubargli il giornale da sotto il naso: le sue dita nodose e dure che lo sfogliano con lenta movimentazione, gli occhi fermi e liquidi della notte finita nella mattina... le solite cose. Mi metterei, credo, a leggere gli annunci di bilocali in affitto su uno dei quei giornaletti stropicciatissimi e pieni di colori sgargianti, che potrebbe chiamarsi, che so, Affittamitutto; riporterei la tazza del cappuccino davanti al barista arrogante e bonario con la figlia che in quel momento gli passa alle spalle per raggiungere l'armadietto dei succhi. Castana, grassottella, con l'espressione risentita e ciononostante lavora molto e ancora non ha smesso di litigare con sua madre per aver lasciato quel bravo ragazzo di Ennio, meccanico appena uscito dal gabbio per aver rubato qualche moto. "C'è qualcosa che non va?", mi chiede la guidante. Demoniaco, quindi in perfetta apparenza di bontà, rispondo di no, che tutto è come prima. Tanto  - e qui raggiungo le alte vette della perfidia - so già che lei sa: ogni spiegazione toglierebbe forza alla mia frustrazione. Che soffra, almeno un po'... cazzo. Ancora siamo in mezzo alle fabbriche e la ceramica non ha smesso di manifestarsi su tutte le insegne, altri duecento metri e c'è una rotonda, costruita, ne sono certo, sotto gli accurati auspici di un assessore al TRAFFICO particolarmente paraculo, e su di essa si affaccia un edificio con timide pretese di architettura moderna, di facciata non esattamente tonda ma che corre esattamente lungo quell'arco flesso di strada, le finestre sono incredibilmente quadrate, così quadrate che per un secondo ci vedo una schiera di monitor televisivi venuti lì a tormentarmi e fra un pannello e l'altro della copertura uno che doveva sentirsi un artista per cercare di esserlo ha piazzato dei grandi e grossi tubolari rettangolari di acciaio perché voleva fare qualcosa di duro ed espressivo e alla fine gli è andata quasi male. Mi viene freddo a guardarlo, penso che in un posto del genere Oreste, un brav'uomo, un penitente, un misericordioso, un lavoratore diligente ed onesto, non potrebbe mai lavorare, e penso, anche, che quando raggiunge il suo posto di lavoro perde sempre un po' di tempo negli spogliatoi che debordano di scarpe usate in disordine e armadietti sfondati, perché gli danno la sensazione di roba triste ma viva, a differenza delle piastrelle che dovrà tutto il giorno togliere dai forni prendendo le griglie con la mani coperte dai guanti da lavoro perché lui è appunto uno che lavora, lavora, lavora... capite? La pubblicità del mulino stanco. Siamo quindi quasi arrivati ed ho una sequenza. Oreste più figlia del barista più Ennio. Sono tutti amici di lunga data e fanno parte di una setta satanica alle prime armi, cioè coltelli e punteruoli per il ghiaccio che applicano piano piano su corpi appena incendiati: il venerdì mangiano insieme il crescione e il sabato uccidono conigli a coltellate in mezzo ai boschi facendo poi delle composizioni con rametti intrecciati a formare simboli di evocazione del Maligno che lasciano sullo sterrato, non di rado accanto ai fossi per farli trovare agli escursionisti e... Sono gentaglia, nessuno sospetta di loro, etc. Però Ennio ha un fratello più piccolo, che ama molto e che vuole proteggere. Quando lui s'interesserà della setta allora... "Siamo arrivati. Perché hai quella faccia?". La guardo cercando di imitare la faccia di uno che la sa lunga. Mica posso spiegarle che stavo elucubrando su qualcosa da scrivere SENZA DI LEI. Ci amiamo quando serve, non ora. Rassicuro, pur sempre demoniaco ma appena un po' meno  di prima, e me ne vado in modo da dire col linguaggio del mio corpo solo: nella mia intensa e dura vita da vero uomo vero conti quanto le offerte di cibo per criceti nel peggiore discount di Lambrate. E considera, starei per dirle, che non ho criceti. Adesso sono nella mia auto e guido io, i primi chilometri sono all'insegna della mascolinità al volante che pure determina i destini di un motore che batte nel cofano come il cuore di un cavallo selvaggio nel deserto del Nevada e... che paio di palle, al secondo guardrail sfiorato passo a più miti consigli e mi fermo in autogrill. L'inserviente che mi fa lo scontrino è mezzo addormentato e lo sarei anch'io se non fosse per quello che ha tutta l'aria (aria, sì, avete presente, di smog trafficante e di silenzio frusciante fra camion e benzinai fantasma, tipico della notte, nelle autostrade) di un colpo di scena: mentre cerco di recuperare la moneta da due euro che rotola verso di lui in direzione ora-cado-in-uno-di-quegli-anfratti-misteriosi-dove-non-mi-troverai-mai-più-tu-sciocco-mortale-che-hai-scelto-Dio-anziché-Me in un fulmine noto la targhetta che ha spillata sul petto flaccido e grinzoso ci scommetto... come la stoffa: c'è scritto "Ennio", con la prima n un po' arrugginita nonostante sia alluminio (e io dovrei sapere, ormai, che l'alluminio non può arrugginire). Sto per passare dalla parte delle vittime di un romanzo ancora da scrivere ed entrare a fondo nel ruolo del coglione integrale in una funzione di campo: "Avete panini al coniglio?", gli domando rimettendo i miei soldi nel portafoglio. Ma lui mica ride. È scemo, poverino. Eppure... 

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