Gardner non muore mai

 Sono qui su una sedia qualunque e la testa ancora attaccata al collo, forse per poco, fa niente. Per la storia che sta per iniziare è del tutto sufficiente. Comincia così. Marco detto Gardner dai così detti amici è nato trentadue anni fa in un paese quasi più insignificante di lui, Mercole, fra Lecce e Brindisi, in mezzo al niente. C'è una statale tutta bella levigata che lo attraversa, le luci elettriche dei lampioni perfidi che fanno riflessi rossastri sulle strisce bianche della strada, il bar del paese aperto e in cerca di cliente sembra più un ospizio per disorientati; chiome di alberi ben curati ai lati sventolano poco epicamente da una parte e dall'altra, una macchina passa raddoppiando volgarmente il limite di velocità previsto, ecco il paese è finito. Mercole scritto maiuscolo su di un cartello con una bella barra rossa che quasi ricorda la divisa di un carabiniere. Sono le cinque e zero due nella stanza di Gardner, la sveglia strilla con disperazione ed una maledizione non molto timorata di Dio riempie la stanza; bum, è iniziata un'altra bella giornata del cazzo. Fuori c'è così tanta nebbia che potresti anche credere di essere in Normandia poco prima dello sbarco, la cucina odora di gas, o viceversa: la casa è piccola. Il caffè riscaldato della sera prima è veramente deprimente, oppure fa solo schifo. Che bello vivere da soli. Ecco Gardner non vuole pensarci granché ma digerisce piuttosto male il fatto di aver preso un vaffanculo da Tommaso, bancario in carriera e pronto per il matrimonio del secolo. 

Il resto fa parte di un racconto mediocre e molto autobiografico. Ma siccome fu pubblicato anni fa su un libriccino con quello degli altri partecipanti al concorso ora non ho più proprio voglia di ritrascriverlo tutto quanto parola per parola. A che pro? Oramai la malattia l'ho accettata, e le pasticche anche. È così. Non voglio più attraversare l'inferno. 

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