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Il dolore infinito

 Insomma, dopo il cancro di mia sorella - che l'ha uccisa - e dopo il cancro di mia mamma - che l'ha uccisa - e dopo il cancro al rene di mio babbo - che non l'ha ucciso - adesso abbiamo per lui anche un cancro alla prostata, che è peggiorato. Io Dio non so se esisti o se ce l'hai con me per qualche motivo. Se è così, ti prego di farmelo sapere e farò del mio meglio per espiare i miei peccati. Ma sono stanco, davvero stanco e triste di tutto questo dolore. Potresti darmi una pausa? Che so, anche un paio di mesi andrebbero bene. Puoi farlo, Dio? Puoi? Ti prego. Dopo tutto, sono pur sempre un intellettuale fallito e vorrai scusarmi se metto le preghiere per iscritto. Mi sembrano più serie, più funzionali: sono le mie strane idee. Leggevo l'altroieri un articolo che parlava della guerra in Afghanistan. I soldati afghani, quelli armati dagli Americani contro i Talebani, avevano come usanza quella di tenersi dei bambini come schiavi sessuali. Ma agli Americani - che nei

Qualcosa di dolce

 Questa tizia è polacca, non più alta di un metro e sessanta. Pur non essendo, io, particolarmente alto, con le zeppe da dieci centimetri mi arriva al petto ed è una cosa che dico con uno studio di proiezione non avendola avvicinata a sufficienza... Mora, occhi scuri, capelli fino alle spalle. Non ha niente di esteuropeo. Lavora in una gioielleria e ha come collega una delle migliori persone che conosca, o che come tale mi si presenta. Quando arrivo ho un giubbotto di pelle, la barba incolta e dei jeans abbastanza puliti. Nell'insieme, non faccio più di tanto schifo. Ma Patrizia non mi piace. Sembra solo una bambola, non intravvedo nessuna intensità in lei. Sento che scoparla sarebbe più meccanico di un giunto cardanico. Siccome ho una mente condannata all'immaginazione, mi accorgo solo che nella mia fantasia fra cinque anni me la ritroverei fra le palle con qualche ruga in più ad urlarmi contro perché non ho portato fuori la spazzatura. E infatti, per quanto blandamente incora

Gli ultimi orrendi giorni della mia vita

 Sto invecchiando a vista d'occhio circondato e ignorato da una selva di ventenni stronzi che non sanno un cazzo della vita. Questo è ciò che significa rimettersi a studiare medicina a 43 anni suonati. Ieri sera, a cento metri dalla squallida stanza che ho affittato per dormire nella città di F., ho deciso di entrare in un piccolo giardino aperto al pubblico. Molto ordinato, con un cartello tutto pulito che spiegava molto correttamente come fosse: vietato non raccogliere la merda dei cani, urlare, giocare e mangiare. Ho aspettato per un po' guardandomi intorno per individuare il luogo più oscuro e alla fine mi ci sono cacciato dentro e così ho potuto urlare, ma, purtroppo, solo al 40% delle mie possibilità perché alle mie spalle c'era un palazzo con quasi tutte le finestre illuminate e non volevo attirare l'attenzione né qualche poliziotto nei paraggi con la faccia da culo. Sono solo, stanco, arrabbiato e pieno di dolore. Più o meno come sempre. Sento ogni giorno che le

Psicofarmaci, pronto soccorso, ultimi tempi

 Prendo 3 psicofarmaci al giorno ma li sto scalando, cioè cerco di diminuirli lentamente per non avere un'altra crisi psichiatrica che - lo dico agli edotti idioti che vaneggiano di esoterismo, amore universale e altre amenità e poi accusano gli psichiatri di essere solo somministratori di camicie di forza chimiche - è più che orribile. Uno serve per la psicosi, un altro per gli scatti di ira, l'ultimo per farmi dormire. E il mio fegato è debole, quindi prima o poi ne pagherò le conseguenze e già mi vedo in un letto di ospedale a supplicare qualche parola gentile dall'infermiera mentre sto morendo di cancro al fegato e i medici discutono su quale campo di tennis prenotare prima che sia finito il turno. Negli ultimi cinque mesi sono stato al pronto soccorso per quattro volte. Ve le dirò tutte. La prima per un dolore insopportabile alla gamba sinistra, che ancora mi tormenta. Un dottore di meno di trent'anni, cognome da terrone e faccia simpatica, ha comandato all'inf

Gardner non muore mai

 Sono qui su una sedia qualunque e la testa ancora attaccata al collo, forse per poco, fa niente. Per la storia che sta per iniziare è del tutto sufficiente. Comincia così. Marco detto Gardner dai così detti amici è nato trentadue anni fa in un paese quasi più insignificante di lui, Mercole, fra Lecce e Brindisi, in mezzo al niente. C'è una statale tutta bella levigata che lo attraversa, le luci elettriche dei lampioni perfidi che fanno riflessi rossastri sulle strisce bianche della strada, il bar del paese aperto e in cerca di cliente sembra più un ospizio per disorientati; chiome di alberi ben curati ai lati sventolano poco epicamente da una parte e dall'altra, una macchina passa raddoppiando volgarmente il limite di velocità previsto, ecco il paese è finito. Mercole scritto maiuscolo su di un cartello con una bella barra rossa che quasi ricorda la divisa di un carabiniere. Sono le cinque e zero due nella stanza di Gardner, la sveglia strilla con disperazione ed una maledizio

L'Eros cosmogonico

  « L’uomo conosce legami sentimentali, rapporti di interesse, l’entusiasmo per la vicinanza di idee e di principii, persino la coscienza della comunanza di stirpe e di sangue, ma, a uno sguardo profondo si mostrano tutti affetti dall’impronta decadente dell’astrazione, dalla propensione alle mere dottrine e alle formule etiche. Per essere preservato da ogni forma d’idealismo, il ‘mistero dell’Eros’ dovrebbe essere rinnovato nella “fratellanza del sangue”, nell’unione dei suoi seguaci, e solo questi termini darebbero luogo all’ Eros cosmogonico . La corporeità è la rappresentazione fisica dell’anima del mondo, il simbolo fluente di immagini vive; solo allora si manifesta l’occhio del Dio che crea il mondo e, di fronte alle passioni profonde, il velo dell’involucro materiale si fende e inizia ad ardere la luce dell’anima elementare. Va però scongiurato il pericolo che il pathos della grande passione scambi il simbolo con la persona amata, e che questa venga elevata a Dio al posto della

La storia migliore che abbiate mai letto sull'Invidia, ha questo titolo

  Non è per niente facile scrivere di invidia quando se ne è stati le vittime principali. A nostro strano modo   —   noi poveri imbecilli di un tempo che è stato e non tornerà più se non per prenderci a schiaffi   —   , abbiamo tutti ammirato qualcuno fingendo molto bene che non ci importasse nulla dei suoi suc cessi o del fatto che, per dirne una mentre si è decisamente impegnati ad addentare una galletta di mais di fronte alla TV che parla vivacemente in cucina e siamo pertanto rattristati e soli, ci si ricordi con perfino troppa nitidezza di quella volta in cui siamo andati insieme a giocare a tennis e lui era molto più veloce ed efficiente nei colpi e persino più atletico sotto la doccia. Di queste cose, posso assicurarlo, me ne intendo parecchio. Potete chiedere alla polvere, o se preferite a qualche fallito di un certo talento che era partito con l’idea di diventare un parlamentare o comunque qualcuno di importante mentre adesso è costretto a truffare vecchi rincoglioniti vendend